Durante il periodo della corsa all’oro nel Klondike e nello Yukon, vivremo le straordinarie esperienze di Buck, gigantesco cane al centro di questo celebre romanzo “Il richiamo della foresta”. La sua evoluzione nel corso delle pagine, sarà il paradigma che l’autore ci offre come monito sul mondo e soprattutto su noi stessi. California, 1897. Nel soleggiato giardino del giudice Miller, scorrazzava Buck, un maestoso cane incrocio fra un sanbernardo e un collie. Non era né un animale da salotto ma nemmeno da canile. Badava ai figli e ai nipotini del magistrato con la sua presenza ed era un ottimo cane da compagnia per il padrone. La caccia e la vita all’aria aperta lo avevano temprato e irrobustito, donandogli una fiera corporatura muscolosa ed un passo regale. Era un cane speciale già allora. In quegli anni, alcuni uomini risalirono il fiume Klondike e scoprirono in maniera del tutto casuale, dei ricchi giacimenti d’oro nel Fosso del Coniglio. Quell’evento dette il via a centinaia e centinaia di spedizioni provenienti da ogni parte degli Stati Uniti. Questo episodio, all’insaputa del nostro Buck, gli avrebbe cambiato la vita. Difatti il giardiniere del giudice Miller, era un giocatore d’azzardo ed aveva contratto un debito non indifferente al gioco; per questo motivo, cercò di rivendere l’animale per disimpegnare la mancanza di contanti. Sfruttò l’occasione dell’assenza della famiglia in casa e portò Buck alla stazione ferroviaria poco distante, consegnandolo per sempre al suo nuovo destino. Buck era abituato a fidarsi delle persone, anche stavolta lo fece, ma quando vide passarsi intorno al collo una corda a mo’ di guinzaglio, in cuor suo capì che qualcosa non andava. Viaggiò per due giorni e due notti senza mangiare né bere, rinchiuso in una gabbia. Schiumava rabbia e tramava vendetta. Il personale del treno lo provocava e lo tormentava, cose che aumentarono il suo rancore. Il treno giunse a Seattle dalla California e la gabbia che conteneva Buck venne depositata un cortiletto recintato; un omone grande e grosso con un maglione rosso, prese in consegna la cassa e si premurò di aprirla, provocando la fuga degli inserviente del treno. Buck era libero, adesso avrebbe avuto la sua vendetta. Purtroppo non aveva mai conosciuto la legge del bastone… quello uomo armato di mazza lo stese diverse volte domando la sua rabbia e il suo spirito di rivincita. Buck era piegato ma non spezzato ed aveva capito una regola fondamentale nella vita, che lo avrebbe accompagnato e aiutato in altre occasioni. L’uomo dal maglione rosso era solo un interlocutore, un mediatore verso un ulteriore passaggio; infatti Buck venne venduto a due canadesi, Perrault e Francois che, finanziati dal loro governo, volevano ritagliarsi uno spazio nella corsa all’oro. Salparono con la nave insieme ad altri cani e Buck salutò per sempre le terre del Sud, apprestandosi a conoscere l’Alaska e la natura più selvaggia. La sua evoluzione ormai era cominciata: fra le acque gelide dello Yukon, un cane da famiglia, stava diventando un leggiadro cane da slitta. Ma era una crescita ancora segreta. Buck imparò ben presto che oltre alla legge del bastone, lì vigeva anche la legge della zanna, ovvero il rispetto verso i propri compagni di muta, l’importanza di non ripetere due volte lo stesso sbaglio di inesperienza e la capacità di non attrarre l’inimicizia degli altri cani, specialmente del capobranco, Spitz. Tuttavia Buck era uno spirito indomito, audace, qualcosa si era già risvegliato in lui, il torpore della vita di campagna era soltanto un pallido ricordo. Giorno dopo giorno, riusciva a conquistarsi i complimenti dei suoi nuovi padroni ed il rispetto di quasi tutto il resto della muta, tranne quello di Spitz, che ormai lo considerava un pericolo per la sua supremazia, un agguato inaspettato al suo potere. Buck attendeva il momento giusto con una pazienza primitiva ed intanto aveva ormai imparato a vivere nella natura, scavarsi buche profonde accanto agli alberi per la notte, al riparo dalle gelide correnti, aveva imparato come procacciarsi il cibo anche rubandolo da altri accampamenti. Tutte cose che nella vita precedente, non avrebbe fatto perché le avrebbe considerate ingiuste o perché soprattutto non ne avrebbe avuto bisogno, ma aveva capito che nelle terre selvagge, certe regole non esistevano perché lì vigeva la regola del più forte. La pietà apparteneva ai climi più miti. Lo scontro all’ultimo sangue contro Spitz per il predominio del gruppo era ormai imminente e Buck si fece trovare pronto. Ormai era lui il leader!
“C’è una pazienza della foresta, ostinata, instancabile, persistente come la vita stessa.”Nelle terre del nord, i cambiamenti erano all’ordine del giorno ed un altro passaggio chiave per il nostro protagonista stava per avvenire; dopo diverse corse per i due franco-canadesi, l’intera muta venne ceduta a tre nuovi improvvisati avventori in cerca di fortuna e di oro. Non erano capaci né di preparare una slitta tantomeno di guidarla. Buck e gli altri, erano in pessime condizioni, stremati dai continui sforzi e dell’incapacità dei nuovi padroni, ma cercarono comunque di portare avanti il loro lavoro. Tuttavia successe un fatto che stravolse nuovamente il destino di Buck: era ormai sopraggiunta la primavera e durante il percorso, con la muta ridotta ai minimi termini per lo sforzo immane, la carovana raggiunse il campo di John Thornton, alla foce del White River. I cani caddero a terra di colpo. I tre cercatori d’oro chiesero al proprietario del terreno quali fossero le condizioni del fondo della pista di lì in poi; lui rispondendo con i suoi occhi acquosi, gli suggerì di non proseguire altrimenti avrebbero corso seri rischi. Improvvisati ed arroganti com’erano i tre, decisero di proseguire ancora fino a Dawson e srotolarono la frusta per rimettere in piedi i cani; tutti riuscirono a malapena ad alzarsi, tranne Buck che, imperterrito, aveva già deciso di non azzardare oltre. Vane furono le botte che prese dai padroni, lui rimase fermo nella sua posizione, accucciato e pronto a morire piuttosto che ripartire. Andò in suo aiuto il buon Thornton, il quale intimò ai tre di smetterla immediatamente di picchiarlo. Alle parole seguirono i fatti perché con un colpo secco di coltello, tagliò i finimenti che legavano Buck alla slitta. Fra lo stupore e la perplessità, i tre accettarono a malincuore la decisione che non avevano preso e lasciarono Buck in compagnia del suo nuovo padrone, ripartendo per la loro direzione. Thornton e Buck videro la parte posteriore della slitta affondare e poco dopo un rumore sordo invadere la valle, il lastrone di ghiaccio aveva ceduto di colpo e tutta la spedizione venne inghiottita dalle acque gelide del nord. I due nuovi amici si guardarono l’un l’altro. Buck si rimise in forma grazie alle amorevoli cure del suo padrone ed ormai era tornato l’animale prestante e leggiadro di qualche tempo addietro. Il rapporto che s’instaurò fra i due era idilliaco, di un amore febbrile e reciproco che diventò quasi follia per quanto si dimostrò forte e profondo. Di solito Thornton prendeva la testa di Buck fra le sue grosse mani e lo accarezzava in maniera decisa, sussurandogli contro qualche insulto che erano soltanto parole d’amore vestite in modo diverso. Da parte sua Buck prendeva la mano del padrone fra i denti e la stringeva forte, in segno di affetto e riconoscenza. Quanto può essere bella la vita vissuta nel rispetto reciproco fra natura, animali e persone? Accadde un fatto epico che fagocitò l’attenzione di tutti gli avventori di quelle terre verso Buck ed il suo padrone: nel saloon Eldorado di Dawson, mentre tutti gli uomini erano intenti a tessere le lodi dei propri cani, Thornton in uno slancio d’amore e difesa del suo, asserì che Buck avrebbe potuto smuovere e tirare una slitta con un carico di ben cinquecento chili sopra! Subito uno dei presenti lanciò la sfida puntando mille dollari per tale impresa. Thornton sicuro delle potenzialità del suo animale, anche se non aveva mai trainato tale carico, accettò di rimando. Tutti uscirono dal saloon e nella febbricitante attesa, la scommessa salì di altri seicento dollari, un’enormità!
“…ma il suo spirito combattivo era stato risvegliato – lo spirito che supera tutti gli ostacoli, rifiuta di accettare l’impossibile, è sordo a tutto quanto non sia l’ansia di battersi.”Thornton preparò Buck e gli chiese di fare questa impresa per suo amore. Il cane non esitò un attimo: prese a tirare come un forsennato, prima a destra e a sinistra per rompere il ghiaccio e disincastrare i pattini della slitta dalla morsa del gelo, poi giù per la strada fino al punto segnalato come termine. La scommessa era vinta, tutti erano entusiasti, ma Buck lo aveva fatto soltanto per lui, per quell’uomo che adesso era accanto a lui in ginocchio e che lo scuoteva avanti e indietro insultandolo a lungo, con dolcezza e con amore. Con quei soldi Thornton organizzò una spedizione con altri uomini nelle zone dell’Est, in un territorio ancora non battuto dai cercatori di oro. Grazie alla loro organizzazione e alla muta dei cani, riuscirono a ritagliarsi un posto molto redditizio; tuttavia ci sarebbe stato l’ultimo grande cambiamento per Buck di lì a poco.
“E quelle ombre lo chiamavano con tanta forza che il genere umano e i suoi diritti gli scivolavano ogni giorno più lontani.”In lui si erano risvegliati antichi istinti, sondava gli anfratti più profondi del suo essere, la sua natura ribolliva ed era pronta a raggiungere l’apice con una fiammata improvvisa. Sentiva in se’ l’eco di giorni e di respiri che avevano vissuto i suoi antenati nei boschi, le ombre del suo passato si fondevano col suo presente con tanta forza che ogni giorno sentiva l’appartenenza alla civiltà sempre più lontana. Non sapeva né da dove né perché, ma Il Richiamo Della Foresta era diventato incessante e continuo. Cominciò a vagabondare nei boschi, anche per diversi giorni, lasciando l’accampamento. Cacciava, pescava, fiutava il vento, ascoltava i suoni della vita selvaggia e i suoi umori, la terra fresca sotto le sue zampe ed il cielo immenso sopra di lui. Si unì ad un altro lupo che lo avrebbe introdotto nel suo nuovo branco, ma in Buck risiedeva anche un altro richiamo, un legame indissolubile con John Thornton. Tornò all’accampamento, ma lì trovò tutta la compagnia attaccata da un gruppo di nativi americani, gli Yeehats. In lui si mescolarono rabbia e dolore: attaccò alla cieca chiunque gli passasse accanto, uccidendo o disperdendo i vari assalitori, dopodiché, in cerca del suo padrone, giunse fino al fiume dove in una pozza intrisa di sangue trovò il John Thornton. Gli rimase accanto per tutto il giorno, pensoso e addolorato. Giunse la notte e, fra gli alberi illuminati dalla luna, Buck ascoltò nuovamente quel vibrare della foresta, quel richiamo atavico che ormai ben conosceva. Jonh Thornton era morto, l’ultimo legame con l’uomo e le sue esigenze era spezzato. Il branco dei lupi invase la valle e sotto il chiarore delle stelle, Buck combatté per riuscire a farsi accettare dal gruppo. Ce la fece e tutti insieme corsero via nel bosco ululando in coro. La storia di Buck non si concluse qui, perché negli anni a seguire crebbe un vero mito intorno a lui: le tribù indigene non osarono più entrare nella sua valle nemmeno per cacciare e mai nessun ricercatore d’oro rimise piede in quel fiume. Pare che lo Spirito del Male si fosse impossessato di quella terra e l’avesse scelta come sua dimora. Un lupo gigantesco, dal pelo meraviglioso che correva nella foresta a capo del suo branco, ululando un canto primitivo. Lui era Buck!