Kapuscinski partì alla fine degli anni ’50 e viaggiò per circa trent’anni fra i vari stati africani alla ricerca di storie per il suo diario di viaggio, sfruttando al meglio quella che per lui si rivelò una possibilità meravigliosa, ovvero poter raccontare la vita della gente comune sparsa negli angoli di mondo più impensabili.
Corrispondente per un giornale polacco, dimostrò fin da subito il suo stile tracciando un percorso diverso dai soliti giornalisti europei, non soltanto perché si recò in luoghi meno comuni, piuttosto perché decise di fare il reporter calandosi in ogni situazione che avrebbe trovato di fronte: scelse di abitare nei sobborghi più poveri, fra lamiere e polvere, combatté alla strenua il caldo torrido e gli scarafaggi giganteschi, si ammalò di malaria cerebrale e tubercolosi, il che non lo fece desistere dal suo intento, anzi ne rafforzò la convinzione, visse nel bel mezzo di scontri fra miliziani sanguinari rischiando addirittura la morte.
“Ebano” è un insieme di saggi, un collage di volti, di immagini e di racconti dove ci viene regalato uno sguardo lucido e ampio, quello del vero reporter, che non giudica mai, bensì che fornisce fatti e notizie per come sono realmente; Kapuscinski ci connette con la difficile quotidianità e con le tradizioni dell’Africa, un continente che stava passando dal colonialismo all’indipendenza, ci mostra il cuore profondo e la fredda crudeltà che possono avere i suoi abitanti, apparecchia un tavolo dove noi lettori possiamo scegliere cosa vedere e soprattutto essere al sicuro da preconcetti e stereotipi.
“Di solito si pensa che sia sempre bene avere uno scopo preciso, nel senso di prefiggersi un obiettivo e perseguirlo. D’altro canto però, è una situazione che impone fatalmente dei paraocchi, perché finisce per vedere solo il proprio scopo.”
I contrasti sociali e politici, le instabilità dei vari governi, il calvario disumano innescato dalla spartizione degli Stati africani dalla fine del XIX secolo, le continue rivolte che sembrano sempre pronte dietro l’angolo ed impacchettate ad arte dall’Occidente ancora desideroso di far vibrare la propria mano su quella terra già martoriata e schiavizzata per secoli: un quadro di instabilità ed inquietudine che viene dipinto sulle pagine di “Ebano” dal cronista polacco, sussurrando la triste verità che storicamente accomuna molte parti del mondo, ovvero che alla fine a rimetterci sono sempre i popoli e specialmente i più deboli.
Giunto in Ghana nel 1957, Kapuscinski segue sempre da vicino le vicende più spietate che la storia contemporanea dell’Africa ricordi: dal colpo di Stato in Nigeria del 1966, alla presa del potere in Uganda da parte di Idi Amin, dalla guerra civile in Ruanda fra Hutu e Tutsi che portò sino al genocidio del 1994, dalle storie dei bambini soldato ai conflitti tribali, governi fantoccio ribaltati da eserciti assetati di sangue e potere.
Il suo acuto senso di osservazione, rende il mosaico del libro sempre più interessante con lo scorrere della lettura. Una sensibilità che tocca le sponde più insondabili dell’animo umano, raccontandoci con accuratezza la realtà che lo circonda.
Africa però non significa soltanto tragedia e orrore, Africa vuol dire anche emozione, magia ed ancestrale bellezza, quella più vera e naturale. Questo netto contrasto deriva da un ambiente ostile che non permette quasi la possibilità di sbagliare perché si respira nell’aria una perenne lotta fra la vita e la morte e forse è proprio questa sottile linea d’ombra, questa pesantissima leggera labilità che permette di acuire fino all’estasi ciò che di meglio può offrirci questo mondo.
Una lama a doppio taglio comunque perché questo senso di precarietà, spesso sfocia nella paura e in una sorta di complesso di inferiorità inflitto nella psiche degli africani dagli invasori bianchi. Un dolore che attraversa la storia e che rimane come catena psicologica e spesso reale ai popoli di quella terra.
Tutto e il contrario di tutto insomma,il soprannaturale che diventa quotidianità, l’entusiasmo e la voglia di libertà che sfociano in corruzione e lotte di potere, la potente voglia di vivere sovrastata da quel senso di frustrazione e sottomissione subito per secoli.
“A parte la sua denominazione geografica, in realtà l’Africa non esiste”
In tutta l’Africa ogni tribù o comunità ha una cultura propria, una gerarchia al suo interno, i cosiddetti usi e costumi che determinano le differenze fra i popoli che purtroppo si stanno sempre più assottigliando. Per questo non esiste una cultura unica che possa definire tutto il Continente. La sua ricercata bellezza sta appunto nelle innumerevoli differenze che la rendono misteriosa ed affascinante.
La mentalità profondamente provinciale dei vari popoli africani, per i quali il mondo finisce quasi al proprio villaggio, dà ferma credenza alle forze soprannaturali, agli stregoni ed alle forze occulte. Tutto ciò che è legato alla religione, ai riti e allo spirito, esiste ed è più di un qualcosa di materiale e tangibile; non si scherza mai con le entità superiori perché c’è rispetto e timore.
La cultura dello scambio, ovvero se mi danno qualcosa, devo ricambiare in qualche modo e non necessariamente con un oggetto materiale se il valore che mi è stato offerto è simbolico come può esser quello di fornire un’attenzione o un’informazione.
La dilatata concezione di tempo degli africani che si manifesta attraverso gli eventi, un risultato del nostro agire secondo loro e che vive dell’energia che possiamo concedergli: l’esatto contrario del modo di pensare europeo.
L’Africa è forse la terra dove ancora oggi si può percepire la potenza della natura in ogni momento, un’esperienza continua, quasi come assistere continuamente alla creazione del mondo, dall’alba al tramonto, aspettando il nuovo giorno.
Esempi lampanti raccontati in maniera formidabile in questo “Ebano” e che inevitabilmente intrigano il lettore, avvolgendolo alle pagine del libro.
“Un giorno a Varsavia, parlai dell’Africa a dei bambini. A un certo punto un ragazzino si alzò e chiese: “Hai visto molti cannibali?”. Non sapeva che quando un africano torna a Kariakoo dall’Europa e parla di Londra, di Parigi e di altre città abitate dagli mzungu, anche un piccolo africano della stessa età si alza e chiede: “Hai visto molti cannibali?”
Chi è in Africa solo di passaggio, forse poserà lo sguardo sulla superficie della terra, sperando di scovare qualche segreto pronto da riportare a casa per essere raccontato ed esibito.
La cultura occidentale forse non è preparata per scendere nelle viscere della terra per sondare ciò che di più profondo nasconde la vita africana, non potrà mai coglierne appieno il suo aspetto interiore.
Forse perché per capire l’Africa, come suggerisce Kapuscinski, bisogna essere pronti a contemplare un puzzle formato da migliaia di sfumature, sempre intento a cambiare e che ancora ci abbaglierà con la sua variegata ricchezza e col suo “caleidoscopio di colori”.