Abbiamo sempre fatto riferimento al camminare come ad un modo per trovare nuove strade, differenti forme di espressione, per cercare se stessi, fuggire, scoprire, spingersi oltre perché è proprio questo continuo andare verso luoghi e destinazioni sconosciuti che ci entusiasma e ci fa brillare gli occhi, ci permette di mettere in gioco i nostri limiti, uscire dalla zona di confort.
Forse però non ci siamo mai soffermati a sufficienza su cosa significa, invece, saper restare, attraversare continuamente gli stessi paesaggi, le stesse vie, cercando di trarne il meglio, di coglierne ogni giorno i lati positivi; resistere, invece che scappare, ritornare di nuovo al punto di partenza invece che ricominciare da un’altra parte, girare in tondo cercando di sondare tutti gli “angoli” del piccolo mondo che si ha a disposizione, non mollare, nonostante l’apparente noia che si presenta davanti a noi.
Muoversi, sì, ma ritrovando sul proprio cammino gli amici di sempre, sapendo apprezzare tutte le loro qualità, partire ogni volta con lo stesso compagno di viaggio, nonostante le differenti modalità di affrontarlo, adattarsi a ciò che c’è già, invece di aggiungere dell’altro. Un esercizio utile a consolidare e rafforzare i propri punti di vista, piuttosto che tendere a svilupparne di nuovi.
Come insegnano gli antichi “la virtù sta nel mezzo” e, anche se può apparire meno adatto ai nostri tempi e al nostro mood di viaggiatori, saper rimanere camminare vicino e solcare i propri passi può essere tanto importante e costruttivo quanto cercare di superare sempre i propri confini.
Qualcuno ha detto che la vita è un sottile equilibrio tra tenere e lasciare andare e spesso, durante i nostri percorsi, ci concentriamo principalmente su quest’ultima parte: abbiamo bisogno di trasformare qualcosa, di trovare nuova motivazione, di abbandonare vecchie abitudini, di correre veloce; ma, a volte, questo atteggiamento diventa anch’esso un’abitudine, un condizionamento che ci impedisce di fare quel salto che tanto desideriamo.
Per alcuni, andare via e camminare lontano, a molti chilometri di distanza, diventa più facile che mantenere un passo corto, vicino a casa, a stretto contatto con ciò che non tollera. E allora la zona di comfort diventa il mondo intero, nuovo, integro, mentre l‘ostacolo da superare è esattamente l’opposto, il quartiere e il paese con le sue strade conosciute e le persone sempre uguali.
Una prospettiva un po’ diversa, che di solito non appartiene al comune viandante, ma che ci può far riflettere su quanto sia importante saper rimanere profondamente in ascolto di ciò che sentiamo per poter regolare il passo del nostro cammino e far sì che trovi davvero il sentiero giusto in ogni momento per noi che, spesso, non è ciò che vorremmo, ma ciò di cui abbiamo bisogno per crescere ed evolvere.
Camminare, ma invece di farlo verso il nuovo, rimanendo in contemplazione del conosciuto, restando ad assaporare fino in fondo i profumi e i sapori delle proprie terre, per dare forma e solidità ai punti fermi, curare i dettagli, riscoprire luoghi persi o abbandonati, guardare ciò che ci appare scontato, insopportabile o strano con una lente di ingrandimento e scoprirne il buono, il bello, il vero.